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Fungotropìa è la newsletter appassionata di funghi che viaggia nel sottobosco come un micelio trovando connessioni. È scritta da me, Camilla Mazzanti, senza pretesa di scientificità ma con curiosa voglia di scoperta. Per ora arriva due volte al mese, ma solo quando vuole, come i funghi, non quando li cerchiamo con ostinazione ma quando meno ce li aspettiamo, come dei tesori.
“Pensò al canale, che aveva attraversato, e gli parve di potervisi gettare a capo fitto e finirla così una buona volta; ma, mentre progettava d’annegarsi, ecco che gli cadde sott’occhio un fungo; lo fissò macchinalmente a tutta prima, poi rifletté e si chinò per coglierlo, scambiandolo per una borsa di pelle, s’accorse che era la capocchia rossiccia d’un fungo, lucida, bavosa, d’un odore acre. La fatalità aveva fatto nascere sul suo sentiero funghi rossi di ogni grandezza ovunque posava lo sguardo, di qua, di là, dappertutto funghi rossi!”
da Funghi Rossi, titolo originale “The Purple pileus”, short story del 1896 tratta da Novelle straordinarie di H.G. Wells, edito dalla casa editrice Fratelli Trevis di Milano nel 1905
Un Carnevale fungino
Se ti chiedessi di chiudere gli occhi e di descrivermi com’è fatto un fungo, tu cosa mi risponderesti? Da cosa partiresti per descriverlo? Dal gambo, dal cappello? Che forma ti immagini? E la sua superficie, com’è? Liscia, rugosa, squamettata, viscida?
In realtà sto semplificando, sono davvero tanti i dettagli che caratterizzano un fungo, e farne l’identikit, richiede l’analisi di tanti fattori.

Sto per portarti un esempio un po’ particolare, lo so. Ma spero avrai la pazienza di seguirmi: anni fa nella collezione comunale della mia città mi sono imbattuta in un dipinto di un carnevale romano. La scena raffigurata dall’autore, Antonio Porcelli, è quella di Piazza Colonna a Roma, durante i festeggiamenti di un Carnevale1: tanto colore e tante diverse fogge di abiti. Quello che mi ha colpito di più di quella cosiddetta scena di costume, al di là del grande movimento e del senso di baraonda, al contempo festosa e irruenta, sono ovviamente la grande varietà di cappelli e costumi.

Ecco, in un certo senso, a ben guardare, il catalogo delle forme fungine non è molto diverso. Ogni tipo di fungo, e uso il termine tipo in maniera appositamente generica, non riferita a un genere o a una specie, ha un aspetto differente. E oggi appunto ti chiedo di concentrare la tua attenzione su uno degli elementi che compongono tipicamente un fungo: il cappello.




Nel linguaggio micologico il cappello dei funghi prende anche il nome più scientifico di pìleo, per indicare appunto, senza entrare troppo nel dettaglio, tutta la struttura che sovrasta il gambo.2

Le forme che questi possono assumere sono davvero le più disparate, come in un carnevale fungino: ci sono cappelli conici, campanulati, umbonati, piatti, convessi, ombelicati, cerebriformi, gibbosi, pulvinati (cioè a forma di cuscino), depressi e chi più ne ha più ne metta, a ricordare forme di campane, imbuti, scudi, ventagli, cervelli, ombelichi, uova…
Entra poi in gioco anche la descrizione del rivestimento di questo cappello, detto anche cuticola, pellicola o pellis, che può avere una superficie feltrata, ma anche una consistenza vischiosa, o sericea, come la seta, ma anche vellutata, proprio come se stessimo parlando di stoffe, insomma. Non mancano poi le cosiddette ornamentazioni, come le sfaldature, le screpolature o le squamettature.
Come in ogni cappello che si rispetti poi, non si può non considerare quella che chiameremmo falda e che invece in linguaggio micologico prende il nome di margine: l’orlo, il suo profilo perimetrale, può essere regolare, ma anche lobato, frastagliato, eccedente, dentellato, ciliato, festonato…
Pensa che in alcuni generi di funghi il cappello prende anche il nome di mitra, come il nome dato al copricapo indossato dai Papi. Si tratta generalmente di quei funghi la cui sommità assomiglia al favo di un alveare: sto parlando dei generi Gyromitra e Mochella,
Io non riesco a non pensare a queste caratteristiche come a quelle dei personaggi di un carnevale. Che ne so, sarà il periodo in cui ti sto scrivendo, ma a me vengono in mente le marionette del teatro dei burattini, i classici Dottor Balanzone, Fagiolino o Sganappino, ma forse sono io che tendo a umanizzare queste figure fungine fino a trasformarle in personaggi della Commedia dell’Arte.

Ma pileo nel suo significato etimologico3 indica quel berretto rotondo di feltro, che calza ben aderente alle tempie, a forma di un mezzo uovo, portato dai Romani negli spettacoli, nei conviti e durante le feste e dagli schiavi quando erano stati venduti, o quando venivano affrancati ottenendo lo stato di libertà, diventando così liberti. È quello che vediamo calzare a Mercurio nelle rappresentazioni iconografiche, per capirci.
Sapevi che anche gli Elleni portavano il pìleo? Lo indossavano durante i viaggi. Ecco, me ne metto uno anche io simbolicamente e ti chiedo di partire con me per un altro viaggio seguendo le nostre connessioni fungine.
Cappelli viola e storie di mercanti
A proposito di trovare un nuovo “costume” grazie ai funghi, un nuovo cappello sotto cui travestirsi, ho una storia da raccontarti.
Perché fino ad ora ti ho parlato di pìleo, del cappello del fungo?
Avrai notato che la citazione con cui si apre questa puntata è tratta da un racconto di H.G. Wells pubblicato nel 1896, dal titolo The Purple Pileus, traducibile letteralmente come “i pìlei porpora" . E i cappelli dei funghi in questa storia sono proprio i protagonisti.
H. G. Wells è stato uno dei padri fondatori della fantascienza.4 Nel suo mondo l'ordinario spesso trasmuta nello straordinario, suscitando nel lettore profonde indagini filosofiche sull'esistenza e sul progresso, con l’aggiunta in questo caso, della volontà di sfidare le convenzioni dell'epoca. Si potrebbe dire che si tratta di un bell’esempio di science fiction dal sapore un po’ vintage.
Siamo ancora in piena epoca vittoriana e la storia è quella di un mite uomo piccolo-borghese che è infelice a causa della sua vita coniugale. La moglie è una donna sboccata e spocchiosa, più incline ai festeggiamenti e alla volontà di vivere nel lusso che agli affari di famiglia. Il Signor Coombes, così si chiama il protagonista, frustrato e depresso e forse pure un po’ intimidito, dopo l’ennesimo litigio domenicale, desiste dal cercare una via di chiarimento con la moglie e se ne va per i boschi meditando di porre fine alla sua vita. Lì, inaspettatamente, si accorge di alcuni funghi viola-porpora (rossi, nella traduzione italiana) e pensa, invece di gettarsi nel fiume come aveva meditato, di mangiarne un po’ per farla finita.

Il risultato però è molto diverso da quello che lui si immagina. L’effetto che mangiare quei cappelli di fungo provoca sul piccolo ometto dalla vita grama è quello di una grande estasi euforica.
Tornato a casa in uno stato confusionario, la sua personalità si trasforma: canta e salta in preda a questa alterazione fungina di coscienza e cerca abbastanza violentemente di costringere la moglie e i due amici ospiti attoniti e impauriti da quel comportamento fuori dal comune, a unirsi a lui a quel pasto psichedelico. Terminato l’effetto, cade in un sonno profondo.
La storia fa poi un salto in avanti di cinque anni. La scena si apre di nuovo nel bosco, sullo stesso sentiero dell’inizio del nostro racconto.
Stavolta i personaggi sulla scena sono il nostro signor Coombes, impettito ed elegante, e suo fratello Tom, appena rientrato dall’Australia, che si congratula con lui per il successo della sua attività e per quanto sia fortunato ad avere una moglie così devota.
Finalmente la situazione matrimoniale si è rasserenata, Coombes racconta il suo ricordo degli eventi di quella fatidica domenica: ha dato una bella lezione alla moglie, dice al fratello, affermando che "le donne del suo genere non rispettano un uomo finché non hanno un po' paura di lui".
Da quell’episodio infatti, la vita del nostro timido ometto, sempre triste e dimesso, è molto cambiata. Lui ha preso il polso della situazione5, riacquistato sicurezza in sé e la sua vita ha preso una nuova piega.
Con un certa sicumera si vanta con il fratello del miglioramento dei suoi affari. Questo suo aumento di fiducia e di autostima gli ha fatto razionalizzare l’episodio fungino trasformandolo in uno sbruffone vittoriano. Dei funghi, nessuna menzione.
È una conclusione interessante e, chiaramente culturalmente obsoleta, di una insolita storia sulla fuga di un uomo dalle sue miserabili circostanze. La sua condizione materiale non è così tanto cambiata, a ben guardare. Vive nella stessa casa e con la stessa signora Coombes, solo che ora ha affrontato le sue paure e accettato di più ciò che il suo piccolo mondo aveva da offrirgli.
Un accenno all’argomento fungino riappare solo nelle ultime righe del racconto, ma non nella traduzione italiana:6
“Quanti funghi ci sono qui!”, osservò il fratello Tom, “non comprendo a cosa possano servire a questo mondo”.
Il signor Coombes osservò. “Io dico che sono stati mandati per qualche saggio scopo”, disse il signor Coombes. E ciò come ringraziamento per il pileo viola, per aver fatto impazzire questo ometto assurdo dandogli il coraggio di un’azione decisiva, alterando in tal modo tutto il corso della sua vita.
Il protagonista incarna la tipica figura dell’uomo debole7 e forse anche un po’ sottomesso. E Wells ci mostra anche quanto sia piccolo il suo mondo. Probabilmente si tratta anche una critica più generica all’Inghilterra di provincia, in cui l'isolamento degli abitanti, nei loro piccoli villaggi, genera atteggiamenti arretrati.8

Il tema del cappello sembra poi essere centrale in questa storia. Ci viene raccontato che il berretto di seta che Coombes indossa mentre si avventa sui funghi viola rotola nel fosso vicino, e che è proprio dentro questo stesso cappello che raccoglierà in quantità questi agarici violetti per portarli a casa dalla moglie e dai suoi amici.



Tornando al parallelismo etimologico tra i due termini, è divertente ricordare che nel corso dei secoli il pileus, inteso come berretto, è stato usato come simbolo di libertà su monete e opere d'arte9.
Chissà se questo simbolismo tra i pìlei dei funghi e i cappelli dei liberti era intenzionale da parte di Wells e se questa simmetria tra le azioni sconsiderate di Coombes che gli hanno concesso una tregua dal suo stato d'animo oppresso, e la liberazione romana dei liberti era premeditata: di sicuro non si tratta di una delle classiche storie di fantascienza tipiche di Wells, ma io ci vedo una vena ironica piuttosto marcata.
In ogni caso, sia questa metafora effettiva o meno, di che tipo di funghi si sarebbe trattato secondo te? Quali sono i funghi viola-purpurei che possono provocare effetti come quelli descritti? Non ci crederai ma qualcuno si è già fatto questa domanda.
Torno così a citarti l’etnomicologo Robert Gordon Wasson e sua moglie Valentina Pavlovna, che nei loro scritti parlano di questo episodio letterario facendo riferimento alla Amanita muscaria e ai suoi effetti allucinogeni.
Si tratta infatti di un fungo che è spesso considerato il “fungo velenoso per eccellenza” dai profani ma che in realtà ha effetti più che altro stupefacenti.
Peccato che il suo colore sia tipicamente rosso, al massimo vinaccia, e che i classici puntini bianchi sul pileo non siano mai citati in questo racconto. Questo è un aspetto che gli stessi coniugi Wasson sottolineano, quindi no, non può trattarsi di Amanita muscaria, tanto più che, anche gli effetti descritti sarebbero leggermente diversi.10
Devo ammettere però che anche la versione italiana di questa storia ha sposato questa tesi, dato che parla di “funghi rossi”11 e non porpora come verrebbe da intuire dal titolo originale: chissà come mai.
Altri hanno invece ipotizzato si potesse trattare di Psilocybe, sempre per le conseguenze allucinatorie provocate dall’ingestione. Altri ancora invece propendono per la Mycena purpureofusca, più che altro per il presunto colore purpureo descritto dall’autore. Questo fungo è noto anche con il nome popolare “purple edge bonnet”, corrispondente in italiano a qualcosa come il “cappello dai bordi porpora”, e in effetti caratteristiche sono le lamelle dai bordi grigio-viola scuro.


Non credo di averla mai incontrata in natura, non consapevolmente se non altro, ma mi sono imbattuta in un suo simile, la cosiddetta Mycena haematopus, detta anche “fungo dal piede di sangue”, “elmo delle fate sanguinanti”, o “berretto bordeaux”: spezzando il suo gambo infatti, si può notare come tinga facilmente di rosso, ricordando appunto il sangue sia come colore che come viscosità.
Insomma sono diverse le possibilità di identificare nell’uno o nell’altro genere il fungo centrale di questa storia. Non va poi dimenticato che Wells racconta che, quando Coombes spezza il fungo per mangiarlo, il colore bianco crema dell'interno vira in pochi secondi ad un colore verde-giallastro e il sapore risulta pungente, una specie di senape con aggiunta di rafano piccante. Vedremo un po’ alla volta che per identificare un fungo sono necessari davvero tutti i cinque sensi.
Wasson quasi stizzito aggiunge poi che sembra che l’intenzione dell’autore sia stata piuttosto quella di voler creare il fungo necessario12 alle esigenze della sua trama che di tenersi aderente a un genere o a una specie reale, ma vogliamo toglierci forse noi il divertimento di cercare di capire a quale fungo o insieme di funghi potrebbe essersi ispirato? 😏
Volendo continuare questo gioco di stile possiamo vedere anche altri funghi la cui colorazione va dal rosso-porpora fino al viola e pensare se qualcun altro di questi può fare al caso nostro.
Tempo fa ho avuto occasione di vedere per la prima volta un esemplare di un cortinario completamente viola in tutte le sue parti: il Cortinarius violaceus, una specie abbastanza diffusa in Italia ed Europa. Dato il suo colore potrebbe far pensare che si tratti quindi di un fungo pericoloso, e invece, è commestibile. Si trova normalmente nei boschi di latifoglie, in particolar modo sotto faggi, da luglio fino a novembre.



Ho scoperto per caso poi che esiste un tipo di fungo altrettanto bello, il Cortinarius porphyroideus13, che è tipico però della Nuova Zelanda e quindi non può rientrare in questo gioco delle possibilità della nostra storia, ma te lo propongo qui ugualmente, con il suo cappello viola intenso.
Altro fungo che ha toni che dal viola arrivano anche al viola scuro è il Sarcodon fuscoindicus14, volgarmente noto anche col nome popolare di Violet Hedgehog, riccio violetto. Appartiene infatti a quel genere di funghi che sotto il cappello hanno i cosiddetti idni, vale a dire dei morbidi aculei.
Ma torniamo per un momento alla nostra storia. Come spesso capita, ci sono di questo racconto diverse versioni o meglio, rielaborazioni successive a quella di Wells.

Esiste una serie televisiva intitolata The Nightmare Worlds of H.G. Wells. Il quarto episodio è dedicato a questo racconto. La realizzazione è abbastanza aderente all’originale, se non fosse che una volta mangiati i funghi, che sullo schermo sembrano quasi delle Russule, al signor Coombes scoppia una violenta e violacea eruzione cutanea, forse un espediente per lasciar intendere allo spettatore che si trova sotto l’effetto stupefacente dei funghi. Nel finale poi, la storia assume una piega più orrorifica che fantastica. Forse preferisco la sottile ironia sulla società vittoriana, che viene mutuata attraverso l’escamotage fungino, alla deriva inquietante che prende la versione televisiva. E tu?
Facendo qualche ricerca infine, ho scoperto che Bruna Dal Lago, una antropologa, ha citato questo racconto in uno dei suoi scritti, Storie di magia, e riferisce un finale di questa storia ancora diverso, quasi di sottomissione fisica della moglie al protagonista15
Ritornando invece alla questione dei miceti viola, a proposito di funghi con proprietà tintorie, c’è qualcosa di più efficace del lattice della Mycena haematopus di cui ti parlavo prima: un lichene, vale a dire una simbiosi tra un’alga e un fungo, che per moltissimi anni è stato l’ingrediente fondamentale per la produzione del viola porpora.
Un tempo la tintura di questo colore si otteneva grazie all’utilizzo di costosi molluschi, o meglio, si ricavava da una ghiandola del Murice comune, il cui secreto era utilizzato in antichità per tingere le stoffe. Il problema era che per riuscire a colorare anche solo una veste occorrevano migliaia di esemplari e non era infatti un caso che il porpora fosse il colore imperiale16 per eccellenza. Tra le altre cose poi l’odore di questa ghiandola pare fosse nauseabondo: una faccenda costosa e puzzolente, insomma.
Ecco però che entra in soccorso una nuova scoperta, anche se nuova si fa per dire: la segreta proprietà tintoria di questo lichene era tale in Europa, ma era invece cosa ben nota da tempo in Medio Oriente e in Cina.17
Fu solo nel Medioevo, infatti, più precisamente nel XIII secolo, che la notizia arrivò nella nostra parte di mondo. Un mercante, un certo Alamanno, detto l’Oricellaio (scoprirai tra poco perché) in viaggio sulle Isole Baleari, pare abbia per caso notato che alcune piccole piante assumevano una colorazione marcatamente rossastra…orinandoci sopra18.
Fu quindi lui il capostipite di quella che prenderà il nome, anzi, il cognome di Rucellai19, una delle famiglie più celebri e potenti della città di Firenze proprio grazie al commercio della tintura della lana. Altre fonti20 parlano di questo Alamanno come di colui che partecipando alla Sesta Crociata, nel XIV secolo, fece la suddetta scoperta in Terra Santa. Cambiano secolo e luogo quindi, ma non la sostanza della storia.21
Queste “piccole piante” erano appunto dei licheni, più precisamente quelli appartenenti al generi Roccella. Si trattava di esemplari di un genere abbastanza comune22, che si trovano di solito sulle rocce lungo zone costiere dell’area del Mediterraneo e in generale in litorali dal clima caldo.
Ho detto urina, sì, hai capito bene. Infatti è attraverso il processo chimico di precipitazione con l’ammoniaca, uno dei componenti della pipì, che si può estrarre il colorante detto appunto oricello, da “urina”, quel rosso violaceo che diventò tipico dei panni di lana fiorentini, dando lustro e fama imperitura alla famiglia del suddetto Alamanno.
Il gioco etimologico è quindi semplice: dal nome dato al lichene con assonanza all’orina che serviva per consentirne la trasformazione in pigmento, Oricello, si trasmette il nome o meglio quello che diventa il cognome della famiglia di Alamanno, Oricellari, poi traslato in Rucellai23, che poi darà, all’inizio dell’Ottocento, il nome scientifico al lichene stesso, Roccella, forse anche derivato da roccia, dato il suo habitat di crescita.24
La famiglia Rucellai implementò efficacemente questa scoperta e grazie al commercio dei prodotti lanieri accumulò notevoli ricchezze che permisero alla casata di inserirsi a partire dal secolo successivo, il Trecento, fra i magnati del Comune, al quale diedero 85 priori e 14 gonfalonieri di giustizia.

Erano stati risolti quindi i problemi legati alla produzione del colore porpora? Certamente questa tintura era meno costosa di quella derivata dai murici, ma la crescita dei licheni resta lenta e quindi, una volta esaurito un sito di raccolta, era necessario cercarne un altro per poter proseguire con la produzione.
Per quel che riguardava invece il fetore, poi, il miglioramento rispetto ai molluschi non era stato poi tanto, considerato l’ingrediente che consentiva di estrarre la tinta dal lichene.

Ho scoperto anche che, durante il periodo coloniale italiano, l’oricello veniva raccolto e commercializzato da un'apposita società operante nella allora detta Somalia italiana. Questo lichene, in lingua locale detto gareshàn o magàd, cresceva abbondante sulla zona del litorale e ne era derivata una industria abbastanza florida.25

Sarà solo molti anni dopo, nel 1856, che Sir William Henry Perkin, cercando di estrarre il chinino da un catrame di carbone, riuscirà a produrre una sostanza nerastra, che, dissolta in alcol, diventava viola. Dimezzando poi i costi, l'allora diciottenne divenne ricco per aver scoperto la cosiddetta mauveina, vale a dire la prima tintura sintetica di colore viola, o meglio, il malva, che diventerà di gran moda. Ma a questo punto le strade di questo colore e dei nostri funghi e licheni si divideranno.26
Tornando più in generale ai nostri funghi viola e al racconto di Wells, ti ricordo che invece il legame di questo colore con l’idea del lutto e della morte nasce proprio in epoca vittoriana. Sarà forse questo il motivo per cui, alla vista dei famigerati funghi dal pileo porpora, il nostro Signor Coombes, credendoli letali, aveva pensato di mangiarli per togliersi la vita?
Pare in ogni caso che la simbologia di questo colore non sia mai stata particolarmente positiva. Ti ricordo che, nel caso degli artisti e soprattutto nel teatro, l’idea del viola-porta sfortuna è legata alla Quaresima. Essendo il colore scelto dal clero per il periodo che precede la Pasqua, come simbolo di ascensione al divino, faceva riferimento a un momento dell’anno in cui gli spettacoli erano proibiti e gli artisti di strada che tentavano di guadagnarsi da vivere venivano perseguiti.27

Questo tema poi, dell’uomo mite e, diciamolo, un po’ scarso di vigore e voglia di vivere, deve essere stato particolarmente caro a Wells. In altre sue opere ritornano protagonisti simili e, ironia della sorte, indovina qual è la loro occupazione? Sono mercanti tessili, proprio come i Rucellai. Privi della stessa intraprendenza però: sto parlando di The History of Mr Polly (1910) e Kipps: The Story of a Simple Soul (1905).
Possiamo dire quindi che, questa volta, i nostri miceli si sono intrecciati portandoci in un tortuoso groviglio che unisce queste storie di licheni e funghi viola raccontandoci di storie di mercanti e tessuti preziosi.
📖 Vuoi leggere la versione originale del racconto di Wells? La trovi qui, mentre qui trovi l’intera raccolta delle diciassette short stories.
📹 Ti metto qui l’episodio tratto da una serie antologica in quattro parti chiamata The Nightmare Worlds of H.G. Wells: The Purple Pileus è il quarto episodio. La storia presenta anche un finale diverso, "aggiornato", per renderla più una storia horror che di fantascienza.
📻 Per quanto riguarda il colore che va dall’antico porpora fino a tutte le sfumature del viola, ti segnalo questa puntata di Cromatica, un podcast sulla storia e chimica del colore, di Daniela Tedone e Eva Munter.
🎨 Ti consiglio i lavori di Bethany van Rijswijk, artista che, realizzando altri mondi creati dai resti del nostro, con i suoi collage tagliati a mano, cerca di sfidare alcuni dei "fantasmi oppressivi" del nostro tempo attraverso la fantasia e il folklore. I suoi lavori, sempre più orientati al "re-incanto" del mondo industriale, propongono spesso temi tratti dal folklore botanico, dalla magia, dall'invisibile, dalle soglie, riti stagionali e tempo preindustriale.
Questo numero di Fungotropìa finisce qui. E tu hai mai cercato evasione nel bosco come il nostro mercante? Conosci qualche fungo viola che ti incuriosisce? Fammelo sapere! Il prossimo numero arriva lunedì 24 febbraio.
Ti aspetto!
Camilla
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Mi chiamo Camilla Mazzanti, non sono una botanica né una micologa ma solo una persona curiosa. Questa è Fungotropìa.
Le illustrazioni sono di Alice Fadda.
Mi dispiace non essere riuscita a produrre una immagine ben definita di questo dipinto, purtroppo online si trova solo una fotografia in bassa risoluzione che non restituisce in alcun modo la miriade di particolari di questo dipinto.
Come ci tengo spesso a ribadire, questa newsletter non ha velleità scientifiche, la semplificazione di questa definizione è naturalmente funzionale alle finalità di questo testo. Per una definizione scientifica di pìleo o cappello: Enciclopedia dei funghi italiani.
Fonte: Dizionario etimologico
Wells in questa raccolta di short stories presenta un'antologia che abbraccia i regni della fantascienza, della fantasia e della speculative fiction. Ogni racconto fonde il bizzarro con il provocatorio, spesso esplorando temi rapporto dell'umanità con l'universo, le implicazioni morali del progresso tecnologico e le intersezioni tra realtà e immaginazione, come nel caso del racconto che ci interessa qui, The Purple Pileus.
“Ora sai come sono quando vengo provocato”, avverte la moglie nella mattina seguente all’episodio allucinatorio.
Traduzione dalla versione inglese del racconto di Wells, 1898, pp. 326-344.
The Purple Pileus, insieme a A Catastrophe, possono essere visti come precursori di uno dei temi caratteristici di Wells, quello appunto del “piccolo uomo” che sopporta un’esistenza intollerabile che riesce a trasformare in qualcosa di molto più felice. Wells ha sviluppato poi questo tema nei suoi romanzi Kipps: The Story of a Simple Soul (1905) e The History of Mr. Polly (1910).
Wells affronta questo tema anche in un’altra delle sue storie: in The Food of the Gods, gli agricoltori locali si dimostrano incapaci di svolgere un semplice esperimento. Qui, il Signor Coombes e sua moglie non riescono a gestire le loro differenze di personalità.
La raffigurazione della libertas romana più antica su moneta risale all'anno 119 a. C. Sul retro di un denaro di M. Porcio Laeca è raffigurata, in piedi su di una quadriga, una donna, incoronata da una Vittoria volante, con in mano il pileus, cioè il berretto della libertà. Sulle monete repubblicane si vedono poi spesso segni della libera attività dei cittadini, per esempio l'urna delle elezioni. Nell'anno 73 a. C. Giove e L. appaiono uniti in un tempio; risale allo stesso anno la testa della dea, riconoscibile dal pileus. Riscontriamo il suo nome per la prima volta sulle monete dell'anno 60 a. C. Fonte: Libertas- Enciclopedia dell’Arte Antica - Treccani
La violenza di Coombes potrebbe far pensare che abbia mangiato l'Amanita muscaria, ma Wells distingue espressamente il suo pileo viola da quell'altra specie, “il rosso di quelli con le macchie bianche”. Inoltre, l'agarico muscario produce uno stupore sonnolento dopo il periodo di euforia, e non prima.
Fonte: Wasson & Wasson, Mushrooms Russia and History, vol. 1, pag. 51
Questo è infatti il titolo con cui appare nel 1905 nella raccolta Novelle straordinarie edita da Fratelli Trevis di Milano nel 1905 ripubblicata nel 2021 dalla casa editrice pugliese Intra. Resta invece più fedele all’originale Il pileo purpureo nella traduzione di Renato Prinzhofer nella raccolta La storia di Plattner e altre storie, pubblicata dalla casa editrice Mursia nel 1966 pag. 216.
“Wells […] fills out the necessities of a given plot by inventing the needed mushroom, on which we here bestow the name of boletus wellsoides.” Il corsivo è mio, a sottolineare l’idea di un genere inventato ad hoc per esigenze di trama.
Fonte: ibidem.
Il botanico ed esperto di funghi Giorgio Samorini riferisce che il racconto di Wells fu descritto in italiano in maniera estremamente riassuntiva da Bruna Dal Lago (1979, p. 119), “dove l’autrice lo ha arbitrariamente fatto terminare aggiungendo una connotazione sessuale non presente nel racconto originario, riportando che la moglie del signor Coombes fu trascinata per i capelli dal marito verso la stanza da letto, dalla quale uscirono due giorni dopo, con la moglie cantando e seguendo, un po’ chinata in seguito di rispetto, il suo signore e padrone”. Secondo Samorini, si tratterebbe di una vera e propria distorsione del senso del racconto originario di Wells, che introdurrebbe inoltre scorrettamente l’idea di impieghi afrodisiaci dell’agarico muscarico. Fonte: Racconto inglese di Wells | Giorgio Samorini Network
Riservato per lungo tempo all’uso sacerdotale e regale, solo in pochi potevano esibire in pubblico questo colore.
Fonte: Woodward, Carol H. “Vernacular Names for Roccella. An Etymological Note.” Bulletin of the Torrey Botanical Club, vol. 76, no. 4, 1949, pp. 302–05. JSTOR.
“Dalla scoperta che egli aveva fatta di una tintura per i pannilani mediante la macerazione dell'oricella; donde poi il cognome Rucellai”.
Fonte: L. Passerini, Genealogia e storia della famiglia Rucellai, Firenze 1861 e Rucellai, Enciclopedia Treccani
“Un mercante fiorentino, Giovanni Rucellai, e la sua famiglia nel secolo XV”, G. Marcotti, Firenze, 1881.
Fonte: Woodward, Carol H. “Vernacular Names for Roccella. An Etymological Note.” Bulletin of the Torrey Botanical Club, vol. 76, no. 4, 1949, pp. 302–05. JSTOR.
Fonte: Torbern Bergman, Opuscoli Chimici e Fisici, Tomo I, Firenze, Pier Giuseppe Tofani, 1787
Altre fonti ancora citerebbero invece un parente di Alamanno, tale Bernardo Rucellai, che nel XIV secolo, che però è invece colui che ha iniziato la famiglia alla cosiddetta vita pubblica, leggi “politica”. Fonte: qui
Famiglia di licheni Pirenocarpi a tallo cilindrico o cespuglioso, viventi per lo più sulle rocce, lungo le coste marine, nei paesi caldi. Le Roccellacee comprendono circa 50 specie, di cui gran parte sono ascritte al genere Roccella; in Italia di questo si contano 4 specie, tra cui Roccella phycopsis e Roccella tinctoria, che forniscono l’oricello di mare, una sostanza colorante derivante da acidi lichenici incolori che, se posti in ambiente alcalino, si scindono dando luogo a orcina dalla quale si ricava l’orceina, principio colorante dell’oricello.
Fonte: Enciclopedia Treccani - Roccellacee
Per un chiarimento sulla provenienza e le differenze tra oricello di terra e di mare: Oricello - Enciclopedia - Treccani
Nelle vicinanze del giardino aveva luogo anche il processo di tintura della lana attraverso l'oricello, un lichene, e l'ammoniaca (derivata dall'urina), che aveva fatto la fortuna della famiglia Rucellai e dei panni fiorentini tinti del tipico rosso violaceo. Questo procedimento fu un importante sviluppo della scienza chimica applicata alla tintura. Fonte: Wikipedia
Cfr. anche Woodward, Carol H. “Vernacular Names for Roccella. An Etymological Note.” Bulletin of the Torrey Botanical Club, vol. 76, no. 4, 1949, pp. 302–05. JSTOR.
Fonte: Renzo Meregazzi, La regione di Obbia. Rivista delle colonie italiane. Roma, t. Ill,. 1929, p. 20-40.
Fonte: M. Nelli, La grammatica del colore, ed. Gribaudo
Tra le altre cose, il viola era associato all’eliotropo, un fiore dall’intenso profumo di vaniglia che si pensava seguisse il sole e che fu associato alle idee di devozione e fedeltà: per questo, il viola-eliotropo veniva concesso alle vedove al posto del nero.
Fonte: Storia del Viola - storia del colore, storia dell'arte e del design
Ciao Camilla, ho mostrato la tua rubrica a mio padre, Valerio, che sarebbe interessato a riceverla sulla posta elettronica.
Ti scrivo il suo indirizzo: valerio.nedda@gmail.com
Sarebbe possibile inviargli anche i numeri arretrati?
Un abbraccio,
Claudia.
Anche questa puntata molto interessante e appassionata. Che ridere a pensare alle definizioni delle forme dei cappelli fungini, con tutte le loro infinite varianti..